Per molti anni il cambiamento per il mondo aziendale è stato lineare, ma nell’ultimo decennio è diventato esponenziale perché l’innovazione alimenta l’innovazione. Siamo dunque dinanzi a una trasformazione tumultuosa per cui il sistema rischia di non riuscire più a stare al passo e l’accelerazione provoca un distacco dalla curva di adattamento che ognuno ha.
La vera sfida che abbiamo davanti sarà dunque in primo luogo coprire questo gap, ovvero alzare la nostra curva di adattamento. Tre a mio avviso sono le traiettorie sulle quali muoversi: global, digital transformation e innovation. In primo luogo dovremo essere globali. La trasformazione digitale dovrà non solo aiutare a gestire la complessità crescente attraverso i processi, ma rivelarsi anche uno strumento importante per l’Industry 4.0. Gli open innovation approaches permetteranno di connettere la nostra ricerca ai centri di eccellenza nel modo e digitale sarà anche la sfera commerciale perché l’integrazione passerà attraverso un rapporto diretto col consumatore. Infine, dovremo essere aperti all’innovazione: se è vero che ormai in cinque anni quello che abbiamo fatto diventa vecchio, allora dovremo essere sempre pronti a cambiare e rinnovare per non perdere vantaggio competitivo.
Come fare? Bisogna cercare una stabilità restando costantemente in movimento, tendere dunque a quella che definisco una “stabilità dinamica”. In quanto tempo? Cinque anni. Ce la faremo? Non possiamo saperlo, ma dobbiamo essere determinati verso l’obiettivo.
In questo contesto, ritengo che l’execution sia un “allenamento”. La capacità continua di riportare dalle stelle al terreno la strategia non è un valore ma una metodologia che si applica soprattutto in momenti di cambiamento e disruption. L’execution si concentra sull’atterraggio, ovvero sul dove vogliamo andare, sul cosa vogliamo essere. Altro elemento fondamentale è la pianificazione e determinazione di step intermedi: “spaccare” il problema è infatti importante, così come accendere la luce ogni volta che il risultato è conseguito anche a livello intermedio. Quando invece l’obiettivo non è raggiunto, è necessario vivere quell’insuccesso come una parte del viaggio e quindi imparare l’errore. La pianificazione consente non solo – in positivo – di sapere dove sei rispetto a dove dovresti essere, ma anche – in negativo – di ripercorre a ritroso quello che hai fatto e ricavarne la lezione.

Questi dunque gli elementi secondo me per una corretta execution: accordati sull’atterraggio, spacchetta il problema, fissa il timing e le azioni in un modo continuo, celebra le vittorie e impara dagli errori. La macchina aziendale si muove pianificando in modo attento e condiviso la traiettoria e le modalità e il riconoscimento del metodo si allineano a questo: ha quindi non solo una condivisione strategica ma chiaramente una condivisione dei piani esecutivi come elemento fondamentale. Ci vuole “ossessione”, perché tutto questo deve diventare non solo una metodologia ma anche un approccio culturale, ed è altrettanto importante la costruzione di un MBO che sia coerente poiché il riconoscimento del merito passa attraverso elementi concreti che hanno nell’execution ovviamente uno dei valori principali.
L’execution certamente implica capacità di visione. Ho conosciuto nella mia vita tanti strateghi, dotati di una visione abbastanza unica ma con una incapacità assoluta di scaricare a terra, così come molti manager ossessionati dall’operatività ma incapaci di alzare la testa e vedere oltre. Ritengo che la vera differenza sia la capacità di “zummare” tra strategia ed esecuzione, una pratica che si può allenare divenendo così una preziosa insostituibile abitudine e, dunque, un vero e proprio stile.
