Guardando in primis al nostro Paese, oggi la parola d’ordine per le aziende è esser innovativi e capire se il proprio business model è sostenibile o meno, dunque conoscere il proprio posizionamento e se si stanno veramente sfruttando nel modo giusto le leve dell’innovazione, della tecnologia, del digitale.

Allo stesso tempo è indispensabile assicurarsi una sostenibilità di lungo termine, che significa ricambio generazionale, accorpamento, dimensione, e quindi necessariamente saper anche rischiare. Molte aziende italiane devono infatti sapere osare di più in termini di crescita: alcune realtà sono indiscusse eccellenze nel proprio segmento, ma

anche i campioni devono pensare a qual è la sostenibilità di lungo termine del proprio business

per cui magari occorre attuare delle strategie di aggregazione piuttosto che di integrazione verticale, piuttosto ancora che di espansione su nuovi mercati.

Molte aziende italiane vivono un problema di dimensione e di governance familiare sui cui credo sia necessario riflettere e intervenire. È infatti limitante e pericoloso pensare all’azienda solo come se gestita dalla famiglia: bisogna invece poter anche lavorare con un management che, di certo scelto accuratamente e controllato, abbia però una certa autonomia. Diversamente, il rischio è quello di scontrarsi con vincoli di successione e di continuità che portano spesso alla cessione stessa dell’azienda, cioè quello che è avvenuto per molte imprese italiane.

In Italia abbiamo poche aziende con dimensioni globali, e questo ha un impatto sulla cultura e la formazione aziendale, nonché sulle risorse e i talenti multiculturali, oggi essenziali. Anche le capacità di crescita risultano ridotte se manca il traino delle grandi imprese.

Un’altra grande sfida del nostro Paese, che non si limita però al solo comparto aziendale, è l’educazione: dobbiamo investire molto di più in formazione, rivedere il sistema scolastico e far capire che oggi tutto si gioca sul capitale umano e più esso ha valore più si cresce. La disoccupazione giovanile è anche il prodotto della scarsa qualificazione. Si tratta di un problema di cultura, di sottoutilizzazione delle nostre risorse, di fuga di cervelli, di scarso livello di competenze: basti pensare che in Italia abbiamo il numero di laureati più basso d’Europa, dato estremamente grave. Proprio la mancanza di competenze digitali, scientifiche e informatiche, necessarie per i lavori che oggi maggiormente si richiedono, spiega l’alto e preoccupante tasso di disoccupazione che affligge il nostro Paese. È un vero peccato, perché in realtà abbiamo grandi risorse imprenditoriali e creative, ma potremmo generare più reddito se riuscissimo a formare e attrarre migliori talenti e a non far scappare all’estero i migliori giovani.

Altri contributi