La mia esperienza ha avuto un percorso prevalentemente nell’ambito del largo consumo, in particolare nei settori alimentare e chimico. Quello alimentare, dove ho iniziato la mia carriera come marketing manager in Kraft dopo una prima esperienza in Domopak, mi ha permesso di sviluppare visione di lungo termine poiché queste aziende sono sempre tese a guardare gli stili alimentari e i loro processi evolutivi, elemento di formazione cruciale per tutta la mia carriera.
Ho lasciato Kraft dopo quattro anni per un’esperienza più veloce in Star, azienda italiana molto più concentrata sul risultato a breve termine. Alla fine dell’86 sono entrato in Johnson Wax dove sono rimasto per quattordici anni operando dapprima nell’area marketing e approdando in Italia come Country Manager, per spostarmi poi negli Stati Uniti dove mi sono trattenuto per due anni, rientrando quindi in Europa come Responsabile del Centro Europa con sede a Budapest, carica ricoperta fino a metà del 2000. Preziosa è stata la mia esperienza in Johnson, azienda impostata come una multinazionale ma in realtà familiare, con grandi valori e di nuovo una visione di lungo periodo che la differenzia dalle multinazionali. Interessante anche l’attenzione che qui ho notato verso la sostenibilità ambientale, fortemente sentita, tanto che tutti i temi ambientali riportavano direttamente al CEO.
Dopo Johnson ho lavorato in Ferrero al riporto di Giovanni Ferrero; un’azienda straordinaria sotto tanti punti di vista, con un’attenzione al prodotto unica e un’innovazione veramente straordinaria.
Le scelte successive sono state legate più a motivi personali: la carriera internazionale diveniva sempre più inconciliabile con le esigenze familiari e ho quindi cercato lavoro a Milano. Sono così entrato in Manetti & Roberts dove nei quattro anni trascorsi ho imparato a fare “l’Amministratore Delegato a tutto tondo”. Nel 2006 ho lavorato in Zambon, quindi un anno in Galbani e, dalla fine del 2007, in Carlsberg.
Il campo alimentare, che dunque ha occupato metà del mio percorso professionale, ritengo sia un settore che appassiona tantissimo in quanto vi è un legame col prodotto molto più coinvolgente, soprattutto per chi opera nel ramo marketing e commerciale. E a me piace lavorare nel business dove c’è un forte coinvolgimento passionale. Per avere successo la passione è infatti importante: bisogna averla e saperla trasmettere. Ed è vero che in certi settori questo è più facile. È indubbiamente questo il motivo per cui il mondo in cui ora lavoro mi ha maggiormente catturato. Qui inoltre occorre una visione di lungo termine: i progetti hanno infatti un processo di cambiamento molto lento perché bisogna abituare i gusti del consumatore, e il bello è proprio questo, ovvero riuscire a modificare gli stili alimentari di un’intera nazione. Il mondo alimentare richiede la capacità di vedere lontano, di cogliere i trend, di riuscire a incidere e a ottenere una consistenza degli investimenti, motivo per cui poi in tale settore vi sono molte aziende familiari che meglio di altre riescono a raggiungere tali obiettivi.
Mi piacciono le aziende di stampo anglosassone perché sono molto legate ai numeri – secondo me i passaggi vanno misurati – e hanno un’impostazione più coerente nel processo di cambiamento, più coinvolgente; le aziende anglosassoni riescono ad andare più veloci e più allineate e la formazione è inoltre molto più seguita.
La mia più grande fortuna è stata quella di aver lavorato con dei capi straordinari che mi hanno dato tantissimo. Questo mi porta sempre a pormi la domanda se sono a mia volta capace di dare quanto ho ricevuto nella mia vita. Non ho mai seguito nessuno dei miei capi, non ho mai amato il processo di cordate, mai fatte e mai aderito a nessuna: credo infatti che un’esperienza positiva non si possa sempre replicare in luoghi e settori diversi, il team che ha funzionato da una parte non è detto funzioni anche da un’altra. Il valore di riuscire a capire le persone con cui si lavora in un’azienda e lo scoprire i talenti che ci sono è sicuramente la parte più bella del mio mestiere, riuscendo a creare dei nuovi team vincenti.
La mia è stata dunque una carriera totalmente indipendente: odio il concetto della scorciatoia e l’indipendenza è per me fondamentale.
Quando vi sono arrivato, Carlsberg era un’azienda in grave difficoltà, urgeva un’opera di risanamento e rilancio. Ho individuato sin da subito un paio di strategie chiave e soprattutto combattuto una forte resistenza al cambiamento e riluttanza a imboccare nuove strade, dettata da paure e insicurezze, che è uno dei problemi maggiori che tutti abbiamo, non solo a livello professionale. Anche se le cose vanno bene non bisogna mai bloccare il processo di cambiamento. Mi pongo infatti sempre la domanda di come reinventarmi per continuare ad avere successo: per forza di cose dobbiamo sempre cambiare.

Così facendo, parte delle persone si eliminano da sole, mentre altre abbracciano un processo di innovazione e trasformazione ritrovando nuove energie, pronte per nuove sfide. Quello che ad esempio cerco di fare il più possibile è seguire cose che non hanno nulla a che fare col mondo in cui lavoro io, questo mi dà l’arricchimento migliore per cogliere nuove idee da poter riadattare alla mia realtà.
Altro valore importante è infatti la curiosità: se una persona non è curiosa è difficile sia adatta a prendere certi ruoli, soprattutto di carattere commerciale. Nel processo di selezione io cerco di vedere tutti, indipendente dal ruolo che andranno a ricoprire, l’ho imparato in Johnson Wax. Questo perché il patrimonio maggiore che abbiamo sono le persone: costruiamo l’azienda del futuro con le persone che portiamo al suo interno, quindi se sbagliamo a scegliere non c’è futuro.
Capacità empatica, curiosità, creatività, passione, credere nelle cose, anche quelle sbagliate: le persone che non hanno questo fuoco dentro di loro difficilmente performeranno nelle aziende lasciando una traccia significativa. Eppure anche queste persone, nella maggior parte dei casi, sono resistenti al cambiamento e per questo motivo sono solito trascorrere con loro giornate out door, esponendoci a mondi diversi, affinché allarghino il più possibile i loro orizzonte, così come hanno fatto con me in passato.
Per avere successo aiutano anche un po’ di testardaggine e perseveranza: chi ha visione non può aspettarsi che tutti la comprendano e la condividano subito. Sebbene riconosco sia un errore, mi è capitato di aver condiviso con i miei superiori dei processi di cambiamento solo dopo averli già realizzati, magari proprio contro il loro volere, poiché immaginavo che non sarei riuscito a convincerli se non a cose fatte. Con questo intendo dire che è importante avere il coraggio di assumersi delle responsabilità nei ruoli che si ricoprono, sostenere le proprie posizioni e prendersi talvolta anche qualche rischio provando ad andare avanti anche senza attendere prima il consenso di tutti. Credo infatti che la cosa peggiore sia non aver coraggio: se sbaglio visione – ed è normale, anzi utile commettere degli errori – posso rendermi conto di aver percorso una strada errata e quindi posso sempre cambiare direzione. Il problema nasce invece quando per paura di sbagliare, per non avere dunque coraggio, si decide di non percorrere alcuna strada.
È dunque necessario allineamento, coraggio di investire e coerenza: uno degli errori più frequenti è affezionarsi alle cose e perseverare nei medesimi errori. La passione tende infatti spesso ad ‘annebbiare’ e quindi distruggere, per cui non bisogna ‘innamorarsi’ troppo ma piuttosto vedere le cose col sano distacco. L’ancoraggio numerico ai fatti resta infatti fondamentale: la visione si costruisce con dei passi concreti e il rispetto dei numeri è indispensabile. È pertanto fondamentale avere grande visione di lungo termine ma al contempo estrema concretezza e disciplina nel misurare quello che si fa.
