I principali maestri del mio percorso, anche professionale, sono stati certamente i miei genitori che mi hanno ispirato mettendomi la racchetta in mano per la prima volta.
A dodici anni, in occasione del campionato italiano di tennis che mi vide arrivare in finale, fui notata da un tecnico della Nazionale che, sebbene non avessi ancora l’età minima consentita, decise di convocarmi al Centro Tecnico Federale per allenarmi nella squadra Nazionale: aveva visto in me un talento che non avrei potuto mettere a frutto rimanendo nel paesino di montagna dove ero cresciuta. Quello fu il primo momento veramente difficile perché, poco più che bambina, dovevo fare una scelta fondamentale di vita: se rimanere a casa accanto ai miei affetti e alle mie abitudini abbandonando però il tennis, oppure sfidare la solitudine e mettermi davvero in gioco. Con le lacrime agli occhi, ma allo stesso tempo con tanta motivazione decisi di partire per inseguire il mio sogno. Quella decisione ha rappresentato una delle tappe principali della mia vita e sono fiera di non aver esitato a prenderla. Sono infatti convinta che
Bisogna invece agire, avere il coraggio di intraprendere nuove strade senza indugio. Per quanto ci possa costare fatica, è necessario trovare la forza di abbandonare quella propria comfort zone che noi tutti tanto amiamo, proprio perché spesso all’interno di tale “recinto” non troviamo più stimoli né slanci.
Quella intrapresa a soli dodici anni è stata una bellissima avventura durante la quale ho raggiunto traguardi inaspettati e realizzato una carriera costellata da numerosissimi risultati e ricca di preziose esperienze di vita, ancor prima che professionali. Ritengo infatti che lo sport per me sia stato, e continua a esserlo, una grande palestra di vita, grazie alla quale ho imparato, più che sui libri di scuola, cosa significhi non arrendersi e credere in se stessi, così come l’importanza del sacrificio e del continuo allenamento.
Ancora adolescente, all’età di soli sedici anni, un tragico avvenimento segnò un’altra tappa del mio percorso: la perdita di mia madre. Sono convinta che nella vita ci sia sempre un motivo per cui accadono certe cose: è certo difficile trovare qualcosa di positivo in una circostanza così drammatica e crudele, specie se vissuta da una ragazzina così giovane, ma proprio quel dramma mi ha fatto scoprire quanto forte potessi essere, mi ha insegnato a non cedere mai dinanzi a qualsiasi difficoltà, mi ha convinta che se sono riuscita ad affrontare una perdita così importante, niente a confronto sarà troppo difficile da superare.

Di lì a poco un altro ostacolo si pose lungo il mio percorso: quello che inizialmente era solo uno sporadico e tollerabile fastidio che avvertivo al piede quando giocavo, in occasione di match sempre più prolungati e intensi divenne un dolore persistente e intenso. Nel 2005 avevo coronato il mio sogno, scendendo sul campo centrale di Wimbledon contro Serena Williams, la numero uno al mondo, e proprio quando tutto sembrava volgere a mio favore, un dolore acuto provocato dal sanguinamento al piede limitò inevitabilmente la mia performance e persi quella partita. Decisi dunque di fare degli accertamenti. La diagnosi dello specialista che mi visitò sembrava non lasciare speranze: avevo una malformazione al piede che non consentiva di proseguire il gioco del tennis a livello agonistico. Improvvisamente vidi infrangersi il sogno di una vita e uscii da quello studio medico in lacrime, ma non arresa: quell’ostacolo fu solo un ulteriore stimolo a impegnarmi ancora più duramente per raggiungere i miei obiettivi.
In quella circostanza fu determinante il supporto umano e professionale del mio Coach e del team con cui lavoravo, quella che io chiamo la “squadra invisibile”. Anche in uno sport individuale come il tennis è infatti possibile, anzi fondamentale, crearsi una squadra che creda in te. Spesso, soprattutto se si è soli, non è facile guardare il lato positivo delle cose e il supporto di chi ti sta accanto può rivelarsi decisivo. Sono stati loro, nel momento più difficile della mia carriera, in cui il pensiero di mollare è stato più vicino che mai, a insegnarmi che se si lavora insieme con fiducia e un obiettivo condiviso, con un progetto ben chiaro e a lungo termine, si può vincere la sfida.
Da allora mia carriera, che mi ha vista vincere ben nove tornei in singolare e ventitré in doppio e divenire la prima italiana in assoluto ad aggiudicarsi un torneo del Grande Slam nel doppio, è stata indiscutibilmente segnata da numerosi successi. La “sofferenza”, talvolta interiore, talvolta fisica, è stata la grande opportunità di formarmi, di crescere, di rafforzarmi, e dunque di divenire la persona che sono.
In particolare, nei momenti difficili è stato importante anche seguire l’esempio e lasciarsi ispirare da personaggi che ce l’hanno fatta prima di me e che sono divenuti un termine di paragone positivo a cui tendere, un obiettivo da incarnare.
Oggi opero ancora attivamente nel mondo dello sport come Team Manager della Nazionale Italiana femminile a squadre, sono Presidente della Commissione Atleti nel Consiglio della Federazione Italiana Tennis e Rappresentante degli atleti nel Consiglio del Coni. Quello che però ad ora mi appassiona di più è il mio nuovo ruolo nell’ambito della formazione in cui credo molto, convinta dell’assoluta importanza, in qualsiasi contesto si operi, del quotidiano allenamento, il vero segreto per riuscire in quello che fai.
